Sul cinema del "Terzo-Mondo"


(Estratti)


     Domanda - (…) Quali sono gli spazi offerti al cinema prodotto nel Terzo Mondo all'interno del circuito internazionale? Qualora esistano, il tentativo è quello di una piatta appropriazione da parte della cultura occidentale, di un contrasto, di un isolamento o di una valorizzazione?

      K.N.- Lo spazio offerto al cinema del "Terzo-Mondo" nel circuito internazionale è in correlazione con lo spazio che gli si lascia sul piano economico e politico: la parte di chi è povero materialmente e, di conseguenza, disprezzato culturalmente. Il cinema è prima di tutto un'industria, poi un prodotto culturale, denaro poi immagine. Per cui lo spazio offerto al cinema è prima di tutto occupato da chi ha più potere economico e dunque più potere politico e culturale. (…) Svolgendo il mio lavoro a Roma, mi sono reso conto fino a quale punto il cinema del "Terzo-Mondo" viene ignorato quando ho cercato, tramite i vari canali televisivi, di registrarne alcuni films: incredibilmente sembra che il "Terzo-Mondo" non ne produca, nemmeno al livello di film di serie C. (…)

    Domanda - La nozione del "verosimile filmico", alla base della concezione di parte del cinema occidentale e sovietico, è presente nella poetica e nella tecnica di alcuni esponenti della cinematografia africana, asiatica e sudamericana?

     K.N.- Se si tratta di concetti quali il pathos, l'identificazione e, più in generale, il realismo, bisogna innanzi tutto non fare l'errore di applicarli meccanicamente trasponendoli da una socio-storia determinata (occidentale) a qualsiasi altra realtà socio-storica. Il problema della catarsi aristotelica, del realismo critico europeo del secolo scorso sono strumenti di comprensione e di analisi nati da una pratica e da una weltanschaung (visione del mondo) "occidental-europea". L'applicazione di tali concetti non è detto che costituisca la chiave di comprensione della poetica filmica del "Terzo-Mondo". Certo, alcuni cineasti di questa area lavorano, più o meno, sulla base della poetica aristotelica, e sono la maggior parte. Altri, pochissimi, lavorano sulla base del realismo critico in senso lato (andando da Diderot a Gorki, passando per Balzac). Poi c'è quella parte di cineasti, forse i più interessanti, che cercano di lavorare costruendo una problematica artistica il più possibile coerente con la specificità sociologica della realtà del "Terzo-Mondo". L'esempio più interessante è senz'altro quello del Cinema novo brasiliano, con Nelson Perreira Dos Santos ("Vidas secas"), Ruy Guerra ("Os fusils"), Carlos Diegues ("Grande Ciudad") e soprattutto Glauber Rocha ("Barravento", "Terra em transe", "Deus e o diabo na terra do sol", "Antonio Das Mortes"). Movimento formato da una decina di artisti e di intellettuali politicamente impegnati, indipendenti sul piano della produzione cinematografica, mettono a punto una concezione teorica e realizzano opere concrete sulla base di un "estetica della fame" e di un "realismo poetico". (…)

     Domanda - Nella complessiva crisi del sistema e dell'industria cinematografica mondiale, quale ruolo può esercitare un cinema diverso per tecniche di montaggio e per tematiche, qualora venga diffuso maggiormente?
   
K.N.- Il termine crisi non ha il significato negativo di fine del cinema. La crisi del cinema internazionale è di crescita, di cambiamento, di sviluppo verso un altro modo di fare cinema, di produrre immagini accompagnate da suoni. Certo, l'epoca del cinema dei nostri padri è finita, ma si sta aprendo quella del cinema tramite le multi-sale, il piccolo schermo domestico, le videocassette, l'elettronica. Se consideriamo non lo spettatore che va nella sala cinematografica soltanto, ma quello che vede immagini cinematografiche (in tv), come negare che siamo bombardati di "cinema", superconsumatori e superspettatori dell'industria cinematografica in quanto produzione audiovisiva? Inoltre bisogna ricordare il posto sempre più determinante, nella strategia socio-economico-culturale, di chi ha il potere politico e/o finanziario dell'immagine e, più in generale del prodotto audiovisivo. Detto questo, il ruolo di un cinema diverso per montaggio e tematiche, maggiormente diffuso, potrebbe essere estremamente benefico, se tali tecniche di "montaggio", in senso lato, contribuissero non ad alienare, omologare di più, ma a liberare, a dare più autonomia di giudizio, più senso critico e di responsabilità allo spettatore. (…)

A cura di Ivana Conte,
Pubblicato nella rivista Invarianti, trimestrale politico-culturale,
Estate-Autunno 1987
Antonio Pellicani Editore, Roma.