1995 Regia. Scrittura di F. Bagagli e M. Mirojrie. Chiuso nel suo appartamento, un uomo ordinario riflette sulla distanza tra le parole e gli atti nella vita.
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Viaggio nel silenzio « (...)
L’allestimento dell’opera spetta al regista algerino Kadour
Naimi, che da decenni ormai è impegnato nella ricerca artistica
dell’essenziale... »
Il
Giornale di Ostia , 4 marzo 1995
“Parto
Quando le parole diventano superflue :
"Parto senza bagagli”, un viaggio simbolico alla ricerca del silenzio « A
cosa servono le parole ? Se lo domanda in modo ossessivo il
protagonista di “Parto senza bagagli”, lo spettacolo che si è
appena concluso all’Agorà. Forse soltanto chi è andato nel
deserto e ha imparato a ascoltare il silenzio può rispondere a
questa domanda. E decidere di trovare un percorso alternativo al
frastuono verbale dei giorni nostri per restituire finalmente
dignità alla parola. Il monologo racconta il travaglio interiore
di un uomo alla disperata ricerca di se stesso, in una dimensione
illusoria e allo stesso tempo vera, irrisoria eppure
indispensabile. Un viaggio simbolico sembra al protagonista
l’unica via percorribile per liberarsi dai ricordi incombenti e
dall’incapacità di dare un senso al linguaggio. Nella valigia
però metterà solamente le cose essenziali per non farsi
schiacciare, una volta partito, dalla sua storia passata, piena di
dolori e rimpianti.
Il testo è stato scritto da Franco Bagagli (il suo cognome ha ispirato il titolo), che è anche l’interprete del monologo, e da Miroijrie Miroir, il nome dietro qui si cela una psicanalista. La regia dell’algerino Kadour Naimi è essenziale e misurata. Come pure la scenografia, tutto si svolge in una stanza poco arredata: due poltrone di pelle bianca, un letto, un tavolino. L’attore si sposta dalla finestra allo specchio. “La mia camera si trasforma in una prigione – spiega Bagagli – riuscire ad uscirne vuol dire provare ad abbandonare il linguaggio convenzionale e appropriarsi del silenzio. Decido di fare i bagagli per lasciarmi dietro le spalle le parole che sputano in faccia e sono ormai soltanto fastidiosi rumori che stridono nell’orecchio.” Dopo un lungo travaglio interiore, il protagonista si prepara: è pronto ad affrontare il viaggio, a mollare tutto portando con se l’indispensabile. Prima di tagliare definitivamente con il passato si ferma in un bar a fare colazione. Lì incontra una donna una sconosciuta che stravolgerà il suo destino. “E’ la prima persona – continua l’attore – con la quale riesco a dialogare in modo sincero e diretto. Improvvisamente ci scopriamo protagonisti di linguaggi che rivoluzionano totalmente la nostra esistenza, iniziamo a giocare con le parole senza ricorrere a convenzioni e luoghi comuni”. Lo spettatore non ascolta il dialogo, è la voce fuori campo del protagonista a narrare l’incontro. “Io sono tutta un’altra cosa da quello che tu vedi e da quello che ti ho detto”. Con questa frase si conclude lo spettacolo, quasi a voler dimostrare come spesso le parole non possano né dare né dire qualcosa di concreto, ma soltanto suggerire immagini ed evocare emozioni. »
Michela
Sensi
Giornale L’Informazione 28 marzo 1995 |
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